Questo Blog è stato creato per coloro che soffrono della sindrome di Ehlers–Danlos, una malattia subdola e molto più diffusa di quanto non si creda. Ci siamo incontrati qui a Roma, e spero che presto potremo vantare un titolo più concreto di quello di "malati di". parlando del blog si tratta di una raccolta di informazioni, articoli, esperienze personali quando possibile, che spero servano ad orentarsi in una malattia che lascia letteralmente senza forze.

chi vuole portà aiutare nella sua compilazione inviando il materiale a me, provvederò in prima persona a vagliarlo( si tratta solo di un correggere bozze) e pubblicarlo perchè tutti devono poter aver accesso a queste informazioni.
un ultima precisazione: quando presente prego citare la fonte da cui si prende l'articolo, in modo da evitare spiacevoli diatribe.
vi ringrazio di essere qui e buon lavoro.

domenica 19 febbraio 2012

LA STORIA DI VALE

questa è un'altra storia, ma anche in questa io come altri posso identificarmi, posso sentire ogni parola, ogni dolore di cui viene data immagine. Anche Vale, come molti di noi, ha fatto fatica a far capire agli altri, anche alla propria famiglia a volte, la reale presenza di quel dolore, ma ancora oggi tutti noi siamo qui e lottiamo aogni giorno con lui per andare avanti molto più forti ora che a tutti è conosciuta la vera identità di quel peso che abbiamo sulle spalle.

Ora Vale ha qualcosa che io non avrei saputo definire meglio: la dignità del Dolore.


"Mi chiamo Vale e sono nata tre volte: la prima 32 anni fa, quando mia madre mi ha data alla luce. La seconda l'11 novembre del 1992; non dimenticherò mai il giorno dal quale, per un banalissimo incidente di gioco, è iniziata la mia "storia".La terza il 27 gennaio 2012, il giorno in cui finalmente, dopo quasi venti anni di domande senza risposta, è stato dato un nome al mio dolore: Ehlers - Danlos, forma ipermobile.
Non so raccontare come sia vivere con l'Ehlers - Danlos, perché ho consapevolezza di ciò da troppo poco tempo; posso però provare a raccontare cosa significhi vivere con il dolore. Quello fisico si, ma più che altro con quello che ti porta quasi ogni giorno a chiederti "ma allora, se nessuno capisce il mio dolore, se ogni medico che incontro mi dice che non ho nulla...ma allora, sono pazza?!?".



Ecco, vorrei partire dall'idea di pazzia per raccontarvi chi sono e perché lo sono: avevo 12 anni il giorno in cui la mia vita è cambiata. Mi sono svegliata una mattina e sono dovuta "crescere", ho dovuto rinunciare ad alcune piccole cose che però, a quell'età, sembrano enormi. Non sono andata a ballare in discoteca il sabato pomeriggio da adolescente e nemmeno quando ero più grande, non sono mai stata in settimana bianca perché il mio ginocchio non ne sarebbe stato molto felice, ho passato giornate intere sdraiata sul letto mentre i miei amici si incontravano per giocare o, una volta più grandi, andarsene in giro per il centro di Roma.Oggi mi rendo conto di aver perso poco, ma all'epoca ha fatto male, parecchio male perché gli adolescenti credono di essere immortali e di poter fare tutto, e non possono concepire che uno di loro non possa fare la stessa cosa. Guardavo loro e vedendo che,in apparenza, che è l'unica a saltare subito all'occhio, sembravo uguale a loro ho passato anni ed anni a chiedermi perché allora non potevo anche essere come loro.



Il mio primo intervento è arrivato a 13 anni, l'ultimo - ovvero il decimo - pochi mesi fa, a 31 anni e mezzo. Detto così sembra nulla, ma il percorso è stato decisamente più lungo e difficoltoso dell'impegno che ho dovuto mettere per spingere i tasti che trasformano l'esperienza in parole...






Ho sofferto, non che sia stata l'unica sia chiaro, ma ho sempre cercato in qualche modo di nascondere questa cosa; in fondo se ero pazza, ma di quella pazzia strana che nessuno conosce, che senso avrebbe avuto "buttare" sugli altri un dolore inutile, invisibile, incurabile?Così ho cercato di fare forza su me stessa, con scarsi risultati, ma con tanto tanto impegno; e allora, anche nei giorni più difficili, indossavo il mio sorriso e via! Ed essendo tendenzialmente una persona molto sorridente, ancora più difficile era spiegare quei momenti di scatti improvvisi, di silenzi insuperabili, i momenti in cui cercavo di evitare il mondo. Solo ora posso dire che tutto quello era dovuto a un qualcosa che è nato e morirà con me: i miei geni mattacchioni.
Da quando ho avuto la diagnosi il mio pensiero costante è "mamma mia, che fortuna ho avuto...di tante mutazioni genetiche a me la sorte ne ha riservata una delle più leggere". E da quel momento mi torna in mente una frase che mi ha detto il dottore durante la visita, quando mi ha detto "nessuno ti credeva quando eri bambina, ma tu lo capivi che eri diversa, vero?". In quel preciso istante l'ho guardato negli occhi e ho pensato che finalmente, dopo venti lunghissimi anni, qualcuno stava veramente guardando oltre ciò che sembro, stava guardando me, la mia anima. Ammetto che mi commuove pensare a quel momento...è stato come se quell'uomo avesse trovato una crepa nella corazza di ghiaccio che mi ero messa addosso; per la prima volta ho visto in faccia la speranza di pensare che un giorno sarei stata libera di essere me stessa veramente.
Ovviamente la mia vita non si è stravolta dal momento in cui ho avuto la diagnosi: c'è chi ancora mi guarda come se fossi pazza, chi non mi crede e chi non mi crederà mai. Ma io so che quello che ho sempre sentito esiste, la verità che ho inseguito per anni finalmente è arrivata; so che ho lottato per qualcosa che finalmente stringo tra le mani: la dignità del dolore. Si potrebbe parlare per ore del dolore, ma la cosa più importante che ho imparato dal mio dolore è che ogni dolore è importante per chi lo prova e nessuno, ripeto nessuno, dovrebbe permettersi di giudicare o deridere chi soffre. Il dolore è la cosa più intima che ci sia, molti posso capirti nella gioia, ma veramente pochissimi hanno il coraggio di guardarti negli occhi mentre soffri.
Non so cosa sarà il domani, ma so che da ieri ho imparato un pochino di più a guardare prima di tutto nei miei occhi..."




Piddyvale

LA STORIA DI CHICO

La storia che oggi pubblichiamo è quella di un grande coraggio, da parte di una madre che si sente comunicare le peggiori diagnosi possibili, e di un bimbo che affronta un lungo calvario ospedaliero per giungere ad una diagnosi che nonostante non sia letale, è senza speranza, come per tutti noi che sappiano di essere legati alla nostra malattia per la vita.

spero che queste parole illuminino il cammino di qualche mamma che stà affrontando gli stessi problemi.



"La sua storia comincia nel 2005 a due anni e mezzo. Si sveglia una mattina dicendo "Chico cade!" , lo faccio scendere dal letto e... cade. Chiamo il suo (ex) pediatra che mi dice "dagli il bentelan, domani passa": Il giorno dopo non passa, chiamo un'altra pediatra(?) che me lo fa ricoverare d'urgenza x meningite. Arriviamo all'ospedale dove ridono mezz'ora sulla diagnosi di meningite e cominciano a parlare di cerebellite acuta, gli fanno visite di tutti i tipi ma NON GLI FANNO una visita neurologica! Intanto gli viene un febbrone da cavallo (per la prima e unica volta in vita mia vedo il mercurio arrivare in cima al termometro), i medici non sanno dove mettere le mani e lo dimettono "in discrete condizioni di salute"!!!!!!!! in attesa di risonanza al cervelletto.

La risonanza esclude la cerebellite, lo porto da due neurologi che parlano di nevrassite post-infettiva o mielite non si sa di che tipo e dicono di aspettare gli sviluppi. Dopo un paio di mesi il problema regredisce spontaneamente e vissero tutti felici e contenti.

Da li cominciano tre anni di continue tossi e otiti con timpanogramma piatto. L'otorino dice che rischia la sordità e lo opera di adenoidi ed effettivamente migliora moltissimo. Nel Luglio 2008 si sveglia con dolori lancinanti all'anca dx. Pronto soccorso, ecografia che mostra liquido nell'anca. Ricoverato e dimesso dopo 5 gg con diagnosi di artrite transitoria. Mi dicono che all'eventuale ripresentarsi dei sintomi bisogna fare indagini più approfondite. A Gennaio 2009 si ripresenta il problema all'anca sx. Non lo ricoverano per mancanza di letti e mi parlano di artrite reumatoide giovanile. Andiamo al Meyer di Firenze. Escludono categoricamente l'artrite e mi mandano a casa dicendomi "signora, suo figlio ha il morbo di Perthes, chiami un fisioterapista domiciliare della sua zona". Torno a casa, apro internet, digito morbo di Perthes e... a momenti collasso... ora pagherei xchè quella diagnosi fosse vera, è una malattia molto lunga e brutta, ma si guarisce!!!! Di corsa a Milano, al Gaetano Pini. Escludono qualunque possibile patologia ortopedica e lasciano aperta l'ipotesi del Perthes che, finchè non comincia la necrosi della testa del femore, non si può in alcun modo diagnosticare. Nel frattempo i dolori alle gambe sono sempre più frequenti e si spostano un po' in tutte le gambe, noi, pensando sempre al Perthes cerchiamo di tenerlo più fermo possibile. Smette spontaneamente di andare in bicicletta, di tirare calci al pallone, di fare karate. E' sempre stanco, già la mattina appena alzato, fatica a scrivere e si addormenta a scuola. Poi un radiologo neurologico che gli fa una risonanza mi mette una pulce nell'orecchio: sclerosi multipla... Andiamo a Siena, ricovero in neuropsichiatria infantile. Escludono categoricamente un problema neurologico. Il dottore che lo segue è sicuro che sia un problema genetico ma non riesce a capire quale possa essere. I

dolori cominciano anche alle braccia, alla testa e agli occhi. Fatica ad addormentarsi. Rimaniamo ancora in attesa di sviluppi... Provo a tenere un diario dei dolori ma non porta a nulla. I dolori vanno e vengono a qualunque ora, in qualunque condizione climatica, qualunque cosa abbia fatto o non fatto. Proviamo antidolorifici e antiinfiammatori di tutti i tipi, niente fa effetto.

A gennaio del 2011 torna il dolore lancinante all'anca sx. Si pensa ancora al Perthes, torniamo in mano agli ortopedici e finalmente dagli esami qualcosina si vede: osteocondrosi ischio-pubica. Peccato che nessuno sappia cos'è e perchè gli è venuta e comunque non ha niente a che fare col perthes. Gli ortopedici non sanno più che dirmi e ributtano là l'idea di un problema reumatologico. Il reumatologo parla di artrite psoriasica, peccato che tutti i test reumatici siano negativi! Sospettano una forma di celiachia, negativa anche quella.

Intanto Federico passa dal bastone alle stampelle, dalle stampelle alla sedia a rotelle. Non si regge più in piedi, fa fatica a fare tutto. Cominciano i dolori addominali, pancia e stomaco, nausee continue.Un prof. di pediatria di perugia mi consiglia di andare all'estero. Mi dice che sicuramente si tratta di una qualche malattia rara e che loro non sono in grado ne di diagnosticarla ne di curarla e comincio a prendere contatti a Berlino.

Nel frattempo un vecchio professore internista che aveva in cura mio papà anni fa si prende a cuore la faccenda. Visita Chico, si prende tutti gli incartamenti e mi chiede 15 giorni per studiare sui libri (non sai quanto ho apprezzato questo atteggiamento!). Dopo 15 gg mi chiama e mi dice di rivolgermi ad un genetista, il suo sospetto è eds. Eravamo in ballo ancora con l'artrite psoriasica e prima andiamo ad Orvieto dalla dottoressa Cortis, primario di pediatria di Orvieto da un paio di mesi e prima reumatologa pediatrica al Bambin Gesù di Roma. Come prima diagnosi parla di iperlassità ligamentosa. Fa fare alcuni esami a Federico e gli fa cominciare una fisioterapia. Alla seconda visita conferma il sospetto di Ehlers Danlos e ci manda al Bambin Gesù dalla dott.ssa Digilio che ufficializza la diagnosi di eds ipermobile. Ecco, questo a grandi linee è il calvario di mio figlio. Ci riteniamo fortunati, abbiamo avuto la diagnosi in tempi brevi rispetto alla maggior parte degli eds e abbiamo anche avuto la fortuna di trovare medici che pur non cavando un ragno dal buco, non hanno mai sottovalutato il problema.Vorrei aggiungere una cosa, una mia convinzione ovviamente non condivisa dalla stragrande maggioranza dei medici. Tutto è cominciato dopo il vaccino antipolio. Da allora delle macchie rosse compaiono sulle spalle e sotto il collo di Chico prima e durante ogni episodio di dolore..."


Sbaragnaus.